Ieri,
l’apprendista consulente che bazzica in ufficio mi ha chiesto se potevo dare un’occhiata
alla sua relazione, prima d’inviarla al grande Capo. «Se capisce?».
Poco,
molto poco. Se capisce che,
nonostante una laurea triennale e le diavolerie su cui digitiamo
compulsivamente ogni giorno, esprimere chiaramente un concetto non è cosa
scontata.
«Non
puoi mettere la punteggiatura a caso e non puoi pretendere che tutti
comprendano cosa ti frulli per la testa. Qui il soggetto dov’è? Questo, questo,
questo… Questo chi? Poi, scusami, cosa significa questo termine?». Mi guarda
inebetito, prende il cellulare e dice ok Google?, pronunciando il termine in questione. Io, ancora più inebetita, lo
osservo armeggiare col cellulare e torno alla mia scrivania sentendomi ormai
donna anziana.
Ok Google.
Alcuni
di noi trascorrono la giornata scrivendo. Email, relazioni, verbali, circolari
interne. Generalmente robe noiosissime, scritte con abbondanti formule rituali.
Meglio se oscure e intraducibili in italiano (l’arte di complicare concetti
semplici). Poi c’è chi, pur facendo altro nella vita, ha il dono di trasformare
un banale incidente domestico (il mio, nella fattispecie), in un racconto che
sa di abbracci e canzoni d’altri tempi. Amanda lo sa fare meravigliosamente
bene. Leggete qui.
Ok Google?! Ma de che?
RispondiEliminaBravissima Amanda, come sempre!
Tu, poi, hai appena ricevuto un regalo di compleanno invidiabile!!!
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