giovedì 7 giugno 2018

L’arte di raccontare



Ieri, l’apprendista consulente che bazzica in ufficio mi ha chiesto se potevo dare un’occhiata alla sua relazione, prima d’inviarla al grande Capo. «Se capisce?».
Poco, molto poco. Se capisce che, nonostante una laurea triennale e le diavolerie su cui digitiamo compulsivamente ogni giorno, esprimere chiaramente un concetto non è cosa scontata.
«Non puoi mettere la punteggiatura a caso e non puoi pretendere che tutti comprendano cosa ti frulli per la testa. Qui il soggetto dov’è? Questo, questo, questo… Questo chi? Poi, scusami, cosa significa questo termine?». Mi guarda inebetito, prende il cellulare e dice ok Google?, pronunciando il termine in questione. Io, ancora più inebetita, lo osservo armeggiare col cellulare e torno alla mia scrivania sentendomi ormai donna anziana. 
Ok Google.
Alcuni di noi trascorrono la giornata scrivendo. Email, relazioni, verbali, circolari interne. Generalmente robe noiosissime, scritte con abbondanti formule rituali. Meglio se oscure e intraducibili in italiano (l’arte di complicare concetti semplici). Poi c’è chi, pur facendo altro nella vita, ha il dono di trasformare un banale incidente domestico (il mio, nella fattispecie), in un racconto che sa di abbracci e canzoni d’altri tempi. Amanda lo sa fare meravigliosamente bene. Leggete qui.   

2 commenti:

  1. Ok Google?! Ma de che?
    Bravissima Amanda, come sempre!

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    1. Tu, poi, hai appena ricevuto un regalo di compleanno invidiabile!!!

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