sabato 9 dicembre 2017

Dimmi come va a finire, Valeria Luiselli

Il Sogno Americano non esiste.
Esiste la necessità di arrivare negli Stati Uniti e il mito di rimanere, anche se resterai per sempre un alieno.
La legge statunitense sull’immigrazione definisce nonresident aliens chi proviene da paesi diversi e ha l’ambizione di ottenere una Green card. Se non intendi praticare la poligamia, se non sei un comunista, se non hai frequentato paesi a maggioranza islamica o fatto parte di una qualsiasi organizzazione che possa rappresentare una minaccia per gli USA, e se riesci a superare indenne la snervante procedura burocratica che apre le porte del paradiso, hai buone probabilità di passare dallo status di nonresident aliens a quello di resident aliens. Resterai comunque un alieno (residente), ma non verrai rimosso (removable aliens).
Se però sei un minore non accompagnato, originario del Triangolo Nord (Guatemala, Salvador, Honduras), che scappa dai maltrattamenti subiti nel proprio paese, da pericolose bande criminali, da storie di sfruttamento di vario tipo, la possibilità di essere accolto negli Stati Uniti si riduce drasticamente.
Se sei un minore originario del Messico o del Canda, per il solo fatto di provenire da un paese confinante, sei rimovibile a priori. Puoi anche fare a meno di partire, perché con buona probabilità verrai espulso, anzi, tecnicamente opterai per il ritorno volontario al paese dal quale stavi scappando (solo che la volontà non sarà la tua bensì quella del Presidente Bush, firmatario nel 2008 di un emendamento assurdo, contenuto nella legge che dovrebbe proteggere le vittime del traffico di esseri umani).
Prima di leggere il libro di Valeria Luiselli, tutte queste robe qui non le sapevo mica. Presa “dall’emergenza sbarchi” di casa nostra, nauseata dalle dichiarazioni accaparravoto di destra, sinistra, centro (qualsiasi cosa significhi oggi), istupidita dai criteri contenuti dal regolamento di Dublino e che disciplinano la richiesta d’asilo in Europa, non mi sono mai posta troppe domande su cosa accada altrove. Che ce ne fossero almeno 40 di domande, racchiuse in un formulario da sottoporre a ragazzini impauriti, che scappano dalla violenza sistematica di gruppi criminali, era per me impensabile.
I figli del Centro America fuggono dalle loro miserie saltando sulla Bestia (i treni merce che attraversano il Messico); se sopravvivono, si consegnano spontaneamente alla Migra (la polizia di frontiera tra Messico e USA) per poi passare in ghiacciaia, la hielera, il centro di detenzione in cui vengono internati per 72 ore (quando gli va bene) e in cui vengono sottoposti a raffiche d’aria gelida per uccidere i microbi annidati nei loro corpi. Negli ultimi tempi, gli itinerari seguiti dai migranti sono diventati più improvvisati ma non meno pericolosi.
Se pensavamo di detenere il primato per i bruschi metodi di accoglienza che riserviamo ai migranti, ci sbagliavamo. Va riconosciuto che gli Stati Uniti sbrigano la pratica velocemente. In 21 giorni puoi esser sbattuto fuori dal confine statunitense anche se hai 7 anni e nessuno da cui tornare.
Dal 2015 Valeria Luiselli lavora come interprete volontaria nel Tribunale Federale dell’Immigrazione di New York. Rivolge ai piccoli migranti le 40 domande previste dal formulario e poi traduce, o forse interpreta, le loro storie dallo spagnolo all’inglese. Ascolta decine di storie e, insieme agli altri volontari, fa da ponte tra i minori e il sistema giudiziario americano. Interpreta le risposte enigmatiche dei ragazzini, trasformandole in argomenti validi a dimostrare che il minore è stato vittima di violenza e che necessita di un avvocato. Solo a quel punto inizierà la battaglia legale per ottenere il diritto d’asilo o il SIJ, uno status speciale concesso agi immigrati minorenni.
Pur non sapendo quasi mai come va a finire, Valeria Luiselli racconta un pezzo di quella storia anche a noi, che restiamo attoniti, con il libro in mano e 40 domande nella testa.
Raccontare storie non risolve nulla, non ricompone le vite spezzate. Ma forse è un modo per comprendere ciò che è addirittura inimmaginabile. […]
E sapevo che se non avessi scritto questa particolare storia non avrebbe avuto senso tornare a scriverne qualunque altra.


Valeria Luiselli, Dimmi come va a finire (Tell me how it ends), trad. dall’inglese Monica Pareschi, La Nuova Frontiera, 2017.

7 commenti:

  1. Ciao Baba,
    ieri ho ascoltato, collegata in radio, Valeria Luiselli durante la presentazione del suo romanzo "La storia dei miei denti" alla fiera Più Libri Più Liberi. Ha una voce limpida, è una persona profonda: ho provato tante emozioni ascoltandola parlare, perché misurata e insieme inesorabile ha messo a nudo una parte potenzialmente bruttissima dell'essere umano. Dev'essere illuminante leggerla, lo farò presto, sicuramente.
    Ciao da Eva

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    1. Cioè, ha parlato di vari libri, di questo di cui scrivi tu e del prossimo, che dovrebbe essere quello di cui ho sentito io. Comunque, un gran bel parlare!

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    2. La Luiselli è un'autrice con cui ti fermeresti a chiacchierare per ore. Abbiamo avuto l'opportunità d'incontrarla a colazione e la conversazione che ne è venuta fuori ha arricchito oltremodo la lettura dei suoi libri. Ho letto buona parte dei romanzi, molto diversi da questo libro qua. Negli altri, c'è sempre un senso di spaesamento, un non trovarsi mai nel luogo giusto.
      Dimmi come va a finire è un saggio; racconta la storia più silenziosa della migrazione, quella che si svolge all'interno dei tribunali; meno pericolosa dell'epopea del viaggio ma più frustrante (per alcuni versi, in realtà, più pericolosa del viaggio stesso, visto che le possibilità di espulsione sono piuttosto elevate).
      Attulmente è tornata al romanzo ma il tema della narrazione restano i bambini immigrati.
      Se posso darti un consiglio, non iniziare da La storia dei miei denti, magari parti da Carte false (geniale) o Volti nella folla.

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  2. Ci sarebbe da fare un'analisi su questi "soprannomi" (per dirla,eufemisticamente) che vengono dati a coloro che migrano in un altro paese. Ricordo,ad esempio che i lavoratori turchi, o italiani o portoghesi nell'allora Germania Ovest venivano chiamati Gastarbeiter ovvero lavoratori ospiti. Quella particolare accezione di "ospite" la diceva lunga sul concetto di quanto dovevano (o avrebbero dovuto) restare sul territorio secondo i Tedeschi...

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    1. Bisognerebbe fare una sorta di saggio comparativo, per mettere insieme tutti i pezzi.
      In questo periodo, cara amica viaggiatrice, non riesco a staccarmi dal tema della migrazione. Devo fare qualcosa per staccare...

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  3. Tra i inizio di una storia e la fine c'è il racconto non è poco come in questo caso e come va a finire forse non è cosi interessante come il racconto

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  4. Ho i brividi già dalla tua recensione, devo leggere assolutamente queste libro....

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