Io
e la poesia abbiamo un rapporto altalenante.
Neanche
con la morte vado troppo d’accordo. Con il suicidio, poi, non ci siam rivolti
la parola per anni. Ho sempre spostato lo sguardo altrove ogni volta in cui una
voce annunciava l’interruzione della metropolitana a causa di un incidente
sopravvenuto.
«Ma
che n’altro suicidio? Proprio quando stacco da lavoro io. C’avevo pure ‘na cena…».
«L’ennesimo
imbecille che ha bisogno del colpo di scena finale!».
Battutine
sceme per combattere il silenzio; umorismo da strapazzo per nascondere la
paura, la disperazione, quella vocina che ti si insinua nella testa, immagini
di litigi con il compagno, il mutuo da pagare, la pasticchina per combattere
l’insonnia, quel senso di vuoto che tu forse non puoi comprendere anche se… Ci
vuole più coraggio ad affrontare la corrente o a lasciarsi travolgere? Ad
aprire il tubo del gas o ad entrare in una sala operatoria?
Paolo
Agrati racchiude sprazzi di vita in pochi versi, partendo dal momento dell’addio.
Nel silenzio della sera, ho ascoltato la sua voce con le musiche di Simone
Pirovano in sottofondo e ho visto sfilare esistenze che un tempo avevano
danzato, sorriso, accarezzato la testa bionda di un bimbo, baciato una donna
elegante, fumato una cannetta tra amici. E poi hanno voltato le spalle, salutandomi
di sfuggita. Frammenti di vita prima del nulla.
Non
ho ancora fatto pace né con la morte né con il suicidio, ma sto cercando di non
abbassar più lo sguardo.
Paolo
Agrati, Partiture per un addio, Edicola Ediciones.
Qui
puoi ascoltare la voce di Paolo Agrati mentre recita le sue poesie con le
musiche di Simone Pirovano in sottofondo.
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