Bastano poche righe per sentirti sulla nave. Dormi laggiù in
fondo, in terza classe, in mezzo al sudiciume. Indossi un kimono vecchiotto,
devi ancora compiere quattordici anni, sei minuta, hai i capelli lunghi e neri,
lo sguardo basso e la foto di tuo marito tra le mani. Vieni da Kyoto, non sei
mai salita prima su una nave, ti sei portata dietro un piccolo Budda di ottone
e speri che tuo marito sia davvero alto un metro e settantanove, abbia una
bella casa e che la prima volta non faccia troppo male. Che è quello che temono
tutte. Si parla solo di questo sulla nave.
Stai andando anche tu in America, come tutte le altre, e anche
se non hai mai incontrato tuo marito, anche se non eri così felice quando i
tuoi hanno deciso per te, anche se l’uomo che ti sta aspettando non è quello
che tu pensavi di aver sposato, questa è l’America, non c’è nulla di cui
preoccuparsi.
Fai cose che a casa tua non avresti mai fatto, lavori fino allo
sfinimento, sogni che prima o poi ricomincerai daccapo altrove, forse tornerai
in Giappone, forse aprirai un’attività tua, forse metterai il rossetto e andrai
a cena fuori. Intanto resti ancora un po’ in America, a lavorare per i bianchi,
perché come potrebbero cavarsela senza il tuo aiuto?
Poi arriva la seconda guerra mondiale, la brutta faccenda di
Pearl Harbor e loro cominciano a guardarti male, bisbigliano al tuo passaggio,
evitano di salutarti e dopo vent’anni non sai più cosa chiamare casa. Sei
ossessionata dai nomi che hanno scritto su quella lista, speri che qualcuno
interverrà, Dio mio!, è l’America, non si deportano le persone senza una
spiegazione. Ma poi prepari la valigia e vai.
Il racconto corale di Julie Otsuka può incantare o sembrare troppo ripetitivo; la storia dei giapponesi
che sbarcarono sulle coste americane all’inizio del Novecento può sembrare una
storia d’immigrazione come tante; qualcuno dirà che le spose in fotografia non furono una prerogativa del Giappone. Chi
conosce la storia americana meglio della sottoscritta, non ignorerà l’Alien Registration Act del 1940, che
imponeva a tutti i residenti di nazionalità straniera di sottoporsi ad una
schedatura annuale presso gli uffici competenti. Registrazione che per i
giapponesi, dopo l’attacco di Pearl Harbour, si trasformò spesso in un
trasferimento presso un centro di detenzione, perché considerati enemy aliens (stranieri nemici).
Io, tutte queste cose qui, prima di leggere Venivamo tutte per mare, non le sapevo mica. E la mia ignoranza ha reso il libricino di
Julie Otsuka ancora più coinvolgente.
Il libro è stato tradotto in italiano da Silvia Pareschi, autrice dell’articolo
che mi ha fatto scoprire un altro pezzetto di storia americana.
Venivamo tutte per mare sarà oggetto di confronto (e di scontro)
del gruppo di lettura della biblioteca di Ciampino, giovedì 20 luglio alle ore 18.00.
Ah, ecco cosa cercavi! Che meraviglia quel libro, quanto mi è piaciuto tradurlo!
RispondiEliminaNon ho letto l'originale ma la traduzione è straordinaria. E' uno stile difficile da tradurre? Ho trovato la versione in italiano musicale, ci sono dei punti in cui è difficile interrompere la lettura perché sembra di spezzare il ritmo. Complimenti davvero.
EliminaChe ci dici di Quando l'imperatore era un dio? Lo consigli?
E' stato il mio primo libro su iPad, seguito da non moltissimi altri... Mi piacque molto, anche per la traduzione che, come tu dici, ha una sua musicalità che ti prende per mano e ti fa immergere immediatamente in questa vicenda. Belle la coralità e la conoscenza di quel pezzo di storia che anch' io ignoravo. E brava Silvia Pareschi.
RispondiEliminaCara Renza, apri il mio capitolo dolente: i libri non cartacei. Io ci provo, davvero. Un po' per motivi economici, un po' per spazio, un po' perché portarseli dietro in viaggio può diventare, ehm, pesante. Però continuo a subire il fascino della carta. Non credo sia una questione di "nativi digitali"; conosco persone ben più mature di me che vivono di ebook e ne son felici. Io ho bisogno di toccare, sfogliare, sottolineare, appuntare e lo so che tutto ciò si può fare anche con l'ebook, però a me sembra diverso. Troppo antica.
EliminaComunque, mia cara, anch'io voglio sapere cosa leggi e, siccome non ho trovato un tuo blog o altri luoghi dove poterti seguire, stipuliamo un patto; ti va? Ogni volta che passi da queste parti, mi dici cosa stai leggendo o mi dai un tuo consiglio di lettura. Che ne pensi?
Venivamo tutte per mare ha la stessa forza di cantare in un coro, quando le voci a volte si fondono, e a volte si sommano anzi più che sommarsi si moltiplicano in modo esponenziale caricandosi l'un l'altra di forza, intensità, poesia, bellezza, drammaticità
RispondiEliminaAh e poi mi pare che sia il libro che mi ha fatto conoscere Silvia, o forse non era lui, comunque una benedizione, perché Silvia mi permette di leggere al meglio quello che da sola non saprei apprezzare e soprattutto perché Silvia è Silvia
RispondiEliminaPensa, io ho conosciuto Silvia per colpa di Franzen e poi ho conosciuto la Otsuka per colpa di Silvia!
EliminaCome spesso accade, presi nota di questo libro quando uscì ma venne sommerso dalle altre letture. Quando l’ottima Lina del gruppo di lettura della biblioteca di Ciampino l’ha proposto, ho pensato che non potevo rimandare oltre.
E sì, Silvia è Silvia!
Grazie, cara, per la curiosità umana nei miei confronti. Non ho alcun blog, sono una " parassita" dei blog altrui, che leggo con molto piacere, che "occupo" con i miei commenti e che sono stati una gran risorsa in tempi bui recenti ( ora più tranquilli). Adesso sto leggendo " Volevo tacere" di Marai, non più tradotto da Marinella d' Alessandro e ...me ne dispiace. Da poco ho finito una " scoperta" casuale: una scrittrice, sempre ungherese, di inizio secolo, Margit Kaffka, di cui ho letto " Colori e anni" tradotto dalla D' Alessandro, e da lei molto ben commentato nella postfazione. Una inaspettata rivelazione, una scrittura femminile profonda, sincera,malinconica e lucida. Ovviamente, tu non hai bisogno di suggerimenti di lettura chè sei tu ad avermi indicato molte novità che presto leggerò. Quanto al libro cartaceo, non rammaricarti. L' ebook è una modernità ma non un obbligo. Non tutto ciò che è moderno è buono in sè. E' utile, questo sì, magari per risparmiare spazio. Io l' usato qualche volta, ma, come te, mi piace avere la carta tra le mani e poi...quella bulimia di avere con sè tutto ! Bello pentirsi di aver lasciato a casa qualcosa di interessante, di aspettare il momento di poterlo leggere. Vedi, sono un gran parassita ed ho occupato molto spazio di questa tua casa così graziosa . Un abbraccio.
RispondiEliminaEcco, vedi? Mi hai suggerito un'autrice di cui non avevo mai sentito parlare! Prendo appunti anch'io. Poi, magari, ne riparlerò qui...
EliminaHo adorato questo libro, il suo stile così semplice e immediato senza troppe frivolezze colpisce dritto al cuore. L'ho letto in pochissimo tempo e mi ha conquistata. Peccato però che Quando l'imperatore era un dio non mi abbia trasmesso le stesse emozioni.
RispondiEliminaAnch'io ho una certa curiosità per Quando l'imperatore era un dio. Ho sentito pareri contrastanti; credo che lo leggerò presto.
EliminaCiao, passo nuovamente da qui per dirti che ti ho assegnato un Liebster award lo trovi qui: http://mamitrailibri.blogspot.com/2017/07/liebster-award-2017.html
RispondiEliminaSpero lo accetterai :)
Hay Mami, ma grazie, troppo buona! Gioco qui sotto:
Elimina1. In quale città nel mondo ti piacerebbe vivere e perché?
Se non ci fosse quel noioso problema denominato trasloco e quel piccolo inconveniente chiamato lavoro, cambierei città di continuo. Ho avuto diversi innamoramenti: Lisbona è la città che più mi affascina. La lingua, la letteratura, la musica, le strade: una città in cui mi trasferirei volentieri.
2. C'è una storia che ti piacerebbe leggere ma non è ancora stata scritta? Più che altro, ci sono tante storie che devo ancora leggere. Credo si nasconda tra quelle la storia che mi piacerebbe leggere.
3. Il tuo classico preferito? Domanda difficile. Cambiano di continuo. Passano gli anni, cambia l’umore, le esigenze, i gusti. Oggi direi Anna Karenina, ma domani chissà?
4. Una canzone che sembra essere stata scritta apposta per te? Passo.
5. Leggi solo in italiano o anche in lingua straniera? Quale? Fino a qualche tempo fa, leggevo anche in inglese, abitudine che di anno in anno mi ripropongo di riprendere. Da quando sono diventata più stanziale (troppo tempo, ormai), la mia dimestichezza con le lingue è scivolata via e a fine giornata scelgo la strada più semplice: leggere in traduzione.
6. Qual è il tuo dolce preferito? Questa è facile: gelato, predilezione per le creme. 12 mesi l’anno.
7. Ti piace la poesia? Se sì, chi è il tuo poeta preferito? Leggo poesia di rado.
8. Se dovessi svegliarti e trovarti a essere per un giorno nei panni di un qualsiasi autore a tua scelta, chi saresti e perché? Viginia Woolf, per la sua tenacia, la grinta, la genialità, la capacità di battersi per le sue idee.
9. Un colore che ami e un colore che odi. Ho una predilezione per il rosso.
10. Cosa sognavi di diventare da bambina? La pianista.
11. Qual è un film che ti ricorda la tua infanzia? La versione cinematografica di Piccole donne, anche se il primo amore (letto e riletto) fu il libro. Un po’ banale. Lo so.