Jan Brokken, scrittore e giornalista olandese, lo immaginavo un
signore affabile, elegante, dal tono di voce caldo e pacato. Un viaggiatore in
grado di tenerti sveglia fino a tarda ora, raccontando di un viaggio in Gabon e
uno in Estonia, descrivendo paesaggi che forse non vedrai mai e personaggi su
cui qualche volta ti è capitato di fantasticare.
Jan Brokken di persona si è rivelato più affascinante di quanto immaginassi. Ha aperto l’incontro romano di Più libri più liberi ringraziando le sue traduttrici; ha lodato Claudia Di Palermo per la capacità di calarsi nei suoi romanzi (“la prima volta che ci siamo incontrati era molto incinta. Tradurmi deve essere stato un secondo parto”), e questo sincero elogio del traduttore l’ha reso ancora più simpatico a chi lo aveva già accolto col sorriso.
Jan Brokken di persona si è rivelato più affascinante di quanto immaginassi. Ha aperto l’incontro romano di Più libri più liberi ringraziando le sue traduttrici; ha lodato Claudia Di Palermo per la capacità di calarsi nei suoi romanzi (“la prima volta che ci siamo incontrati era molto incinta. Tradurmi deve essere stato un secondo parto”), e questo sincero elogio del traduttore l’ha reso ancora più simpatico a chi lo aveva già accolto col sorriso.
Da mesi non faccio che parlare di Anime baltiche e dell'abilità di Brokken di raccontare i grandi
personaggi partendo da inezie quotidiane: un modo originale e intenso di
scrivere una biografia. Non si sofferma troppo sulla grande Storia, si limita ad accennare agli eventi riportati nei libri di testo
scolastici. Preferisce concentrarsi su un singolo episodio della vita di un
personaggio (talvolta molto noto, basti pensare a Roman Gary, Hannah Arendt,
Arvo Pärt) senza farsi distrarre da tutto il resto. Ed è ciò che accade con
Dostoevskij nel Giardino dei cosacchi.
Jan Brokken si imbatte nei diari di Alexander Igorovič von Wrangel e nello scambio epistolare tra questi e F.M., Fëdor Michajlovič. Legge le lettere scritte da Alexander e ha la sensazione di vedere comparire dinanzi a sé Dostoevskij in persona; ne sente la voce, ne percepisce lo sguardo indagatore. Decide quindi di entrare nella vita di Dostoevskij indossando i panni del barone Alexander Igorovič von Wrangel, l’amico di una vita, la persona con cui F.M. ha trascorso interi pomeriggi nel giardino di una dacia in Siberia.
Jan Brokken si imbatte nei diari di Alexander Igorovič von Wrangel e nello scambio epistolare tra questi e F.M., Fëdor Michajlovič. Legge le lettere scritte da Alexander e ha la sensazione di vedere comparire dinanzi a sé Dostoevskij in persona; ne sente la voce, ne percepisce lo sguardo indagatore. Decide quindi di entrare nella vita di Dostoevskij indossando i panni del barone Alexander Igorovič von Wrangel, l’amico di una vita, la persona con cui F.M. ha trascorso interi pomeriggi nel giardino di una dacia in Siberia.
Il 22 dicembre 1849, il sedicenne Alexander Igorovič vide per la
prima volta il grande scrittore russo. Era l’anno del colera, la gente moriva
in massa e le scuole erano chiuse. Alexander Igorovič era da suo zio mentre i condannati
a morte del gruppo di Petraševiskij venivano condotti al patibolo.
F.M., quasi trentenne, con la camicia dei condannati davanti al
plotone d’esecuzione, baciava la croce d’argento che gli poneva il prete. La
grazia dello zar giunse quando nessuno ci credeva più: Alexander non avrebbe
mai dimenticato tanta crudeltà (e neppure Dostoevskij, che ne soffrì tutta la
vita). Lo scrittore fu deportato a Semipalatinsk in Siberia, lo stesso
distretto in cui Alexander, ormai ventenne, assunse l’incarico di procuratore agli
affari statali. Nacque così una lunga amicizia.
Un’amicizia che non durò tutta la vita perché ad un certo punto
furono i debiti in cui si era cacciato Dostoevskij e la furia del gioco ad
avere la meglio.
Brokken descrive minuziosamente le giornate dei due amici, le avventure sentimentali, il tabacco fumato, la sporcizia dei luoghi, gli attacchi epilettici dello scrittore. Li descrive come se li stesse vivendo in prima persona e non come la mera ricostruzione di un diario.
Brokken descrive minuziosamente le giornate dei due amici, le avventure sentimentali, il tabacco fumato, la sporcizia dei luoghi, gli attacchi epilettici dello scrittore. Li descrive come se li stesse vivendo in prima persona e non come la mera ricostruzione di un diario.
Fëdor poteva anche essere un uomo nervoso e facilmente
irritabile, ma non era sicuramente respingente. Le donne frivole lo adoravano
perché era capace di divertirsi, le donne fatali amavano il suo carattere intrattabile,
le ragazze di diciassette o diciott’anni venivano conquistate dal suo
entusiasmo e dal suo modo coinvolgente di parlare.
Fëdor era un uomo passionale: si era innamorato di Marija Dmitrievna
Isaeva, sposata e con un figlio, aveva pazientato anni facendole la corte e
infischiandosene del rispetto delle convenzioni. Il 6 febbraio 1857 Marija sarebbe
diventata sua moglie.
Dostoevskij era facilmente irritabile, molto ironico,
infallibile osservatore dell’animo umano. Nella vita mirava solo a tre cose:
scrivere, pubblicare (scriveva per essere
letto e non per il proprio piacere) e sposare l’amore della sua vita.
È il Dostoevskij che avevo immaginato leggendo Delitto e
castigo: lo scrittore che indaga l’animo umano senza lasciarsi spaventare dalle
storie più cruente.
L’amicizia tra Alexander e F.M. termina quando il demone del
gioco si è ormai impossessato dello scrittore. Dei lunghi pomeriggi trascorsi nel
giardino della dacia alla periferia di Semipalatinsk resta solo un fievole
ricordo: F.M. assorto che innaffia le piante, mentre nella testa sta scrivendo
un nuovo intreccio narrativo.
Il giocatore spazzerà via i momenti più intensi.
Il giocatore spazzerà via i momenti più intensi.
Jan Brokken ricostruisce questo rapporto di amicizia in modo
estremamente dettagliato. Anche troppo. In alcuni tratti il romanzo mi è sembrato
ripetitivo e poco coinvolgente. Ma le aspettative create da Anime Baltiche erano
elevate e avevo messo in conto una possibile delusione.
Ciononostante, Jan Brokken riesce a trasmettere la sua passione: una volta chiuso Il
giardino dei cosacchi, ti viene una gran voglia di leggere i romanzi di
Dostoevskij che non hai mai aperto in passato e rileggere le opere che conosci
già. E ti vien voglia di sprofondare sul divano con Oblomov di Gončarov.
Cos’aveva detto Dostoevskij di lui? «Un gentlemen con l’anima del
burocrate, privo di idee e con gli occhi da pesce lesso – dotato da Dio, come
per scherzo, di un talento straordinario».
Ha ragione Brokken: Dostoevskij era un genio che sapeva giocare
con le parole.
E' vero, le aspettative su Brokken, dopo Anime baltiche, sono molto alte. Ma tu, cara babalatalpa, sei sempre avvincente nei tuoi post e quindi mettiamo pure in conto i troppo dettagli ma mettiamo anche in lista anche questo testo, che si presenta decisamente invitante per il tema. Ciao e brava!
RispondiEliminaBrava Renza che legge tantissimo. Questo libro mi ha messo in difficoltà. Quale sarebbe stata la mia opinione se prima non avessi letto Anime baltiche? Sarebbe stata diversa? Ti senti sempre un po'tradito quando riponi tanta fiducia in un autore. Il tema è avvincente e ho letto giudizi appassionati; quindi sì, leggilo. E poi, se ti va, torna qui a parlarne.
EliminaTi auguro un weeekend di grandi letture.
E' uno dei prossimi libri che leggerò. L'ho comprato proprio sulla scorta del piacere provato nel seguire i racconti di Brokken su artisti e scrittori del Baltico. Sono avvertita... :-)
RispondiEliminaAvvertita, ma forse a te piacerà. O forse lo chiuderai per aprire un libro di Dostoevskij, che non fa mai male. Poi ci farai sapere se t'è piaciuto?
EliminaCerto:-)
RispondiEliminaBello! Mi piacerebbe incontrare Brokken. Anzi, fate un viaggio con lui 😊
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