La mia copia e la mia birra |
Qualche mese fa su la Lettura trovo un’intervista di
Enrico Rotelli a tal Keith Gessen.
Mai sentito nominare prima, ma il giornalista ne parla con toni lusinghieri e
le risposte dello scrittore non sono affatto banali.
Keith Gessen nasce a Mosca nel 1975 da una famiglia di origine
ebraica, madre critica letteraria e babbo scienziato; a sei anni si trasferisce
negli Stati Uniti, laurea ad Harvard, master in Belle Arti a Syracuse. Tanta
scrittura su riviste letterarie e non, fino ad arrivare nel 2004 alla
fondazione di n+1, una rivista senza
scopo di lucro (messa su con altri intellettuali giovani e tristi), che mescola
letteratura, politica, saggio e fiction.
Gessen è un attivista politico, arrestato (per un giorno) durante
le proteste di Occupy Wall Street, è un democratico che ha sperato nella
vittoria di Bernie Sanders, sostiene che Dostoevskij abbia influenzato la
letteratura americana e dichiara (l’intervista è di marzo scorso) che I giorni dell’abbandono di Elena
Ferrante (chiunque essa sia) sia stato il più amato tra i libri letti di
recente.
Capite bene che una biografia del genere, unitamente ad un romanzo
dal titolo così intrigante, ti portano in libreria per leggerne almeno
l’incipit.
A New York, loro risparmiavano.
Risparmiavano sul succo d’arancia, sul pane in cassetta, sul
caffè. Sui film, le riviste, l’ingresso ai musei (il venerdì sera). Sui biglietti
del treno, della metro, sull’appartamento fuori mano nel Queens. Era una sorta
di principio, a cui non si derogava. Mark
e Sasha quell’anno vivevano sulla linea 7 della metro e quando uscivano, su nel
Queens, Mark seguiva Sasha come un bimbo mentre lei studiava e confrontava i
prezzi dei due alimentari coreani in modo da risparmiare sulla frutta, la
verdura e qualche piccola specialità orientale. Risparmiavano anche sui
vestiti.
Era il 1998 ed erano innamorati.
Si erano lasciati alle spalle il college, la Mosca dove Sasha
aveva trascorso l’infanzia e la periferia residenziale americana dove l’aveva
trascorsa Mark; eppure erano riusciti in qualche modo a sfuggire a tutto questo
con la giovinezza ancora intatta. Vivere a New York con pochi soldi era un po’
umiliante, ma essere giovani… essere giovani era divino. Se uno avesse avuto
più soldi di quelli che avevano loro quell’anno, sarebbe semplicemente
invecchiato prima. E così, con il sorriso in faccia, loro risparmiavano.
Dall’incipit all’acquisto il passo è breve. Così mi faccio
fregare da un altro sedicente scrittore geniale e raffinato della narrativa
americana contemporanea. Non fraintendetemi: il libro non è malvagiomalvagio,
ma se dopo le prime pagine interrompi la lettura ogni dieci minuti per guardare
il cellulare, mi sa che la storia non ti sta coinvolgendo granché.
Il romanzo si sviluppa intorno a tre giovani intellettuali: Mark, che avete incontrato poche righe
fa, impegnato a scrivere la sua tesi di dottorato sui menscevichi russi, arrabbiato,
senza un soldo e innamorato della bella russa Sasha; Sam, ebreo, vuole scrivere il grande romanzo sionista, è innamorato
dell’israeliana Talia, ma prima di tutto deve controllare la sua posta
elettronica e far in modo che la sua Googlata
si rimpolpi (è passato da 300 e rotte pagine di accessibilità al pubblico a
scarsi 22 risultati. Il suo nome sta scomparendo da Google: capite il dramma di
Sam?, qualcuno potrebbe anche suicidarsi per questo).
Per concludere, c’è Keith,
alter ego dell’autore sin dal nome. Studia ad Harvard, è circondato da
personaggi improbabili e si dispera per la sconfitta dei democratici nel 2000 (do
you remember George W. Bush vs. Al Gore?).
Sono tutti poveri in canna, fanno lavori precari, bevono birra, si
innamorano, leggono molto (prevalentemente russi), parlano di politica, di
riscaldamento globale, della questione palestinese e delle guerre americane per
diffondere la democrazia. Qualche volta ho sorriso, altre volte ho sbadigliato,
spesso son tornata indietro perché avevo perso un passaggio. C’è tanta
ideologia, tanti riferimenti ad eventi storico-politici realmente accaduti,
tanta, troppa carne al fuoco. E alla fine ti ritrovi tra le mani solo
l’inconsistenza di una scrittura raffinata e il malinconico ricordo di quando
anche tu avevi 23 anni e pensavi di poter cambiare il mondo.
Io l’ho messo in valigia
per una trasferta di lavoro in terra campana ma vi direi che, se non siete
degli attenti osservatori della narrativa americana contemporanea, non è così
necessario infilarlo in borsa.
Pare che Keith Gessen stia scrivendo il suo secondo romanzo. A
me è bastato il primo.
Keith Gessen, Tutti gli intellettuali giovani e tristi (All the Sad Young Literary Man),
Traduzione di Martina Testa, Einaudi, 2009.
Sai che invece io, proprio alla luce dell'incipit non sarei andato oltre? E' questione di gusti, ovvio, ma personalmente lo trovo "già letto" fin dall'inizio. Mi pare quel tipo di scrittura standardizzata che si è diffusa in Nord America da un po' di tempo a questa parte. Non riconosco la voce di uno scrittore: solo questa voce che pare codificata (ma questa, forse, è solo una mia sensazione). E poi il tema: delicatissimo. E' una strada già percorsa più volte, già eccessivamente inflazionata, forse. Non dico che non si debba scrivere più romanzi cui i protagonisti sono degli intellettuali (o ragionano attorno a temi considerati "alti"), ma scadere nei cliché a volte è un attimo. Non so, dovrei leggerlo, ma già dall'incipit annuso che il cliché è sempre dietro l'angolo e non mi viene voglia di approfondire.
RispondiEliminaPS: buona la birra!
Infatti tu sei un tipo in gamba, mica uno che si lascia abbindolare da certi incipit nostalgici come la sottoscritta! Fidati del tuo intuito e della modesta opinione di una che l'ha iniziato senza pregiudizi e non sprecare il tuo tempo. Ho letto anche opinioni positive su questo romanzo, però credo che le tue osservazioni "scrittura standardizzata che si è diffusa in Nord Europa" e "strada percorsa più volte" sintetizzino bene l'essenza e lo stile della storia.
EliminaIn effetti mi sembra veramente noioso.
RispondiEliminaOgni tanto si riprendeva (per questo non l'ho abbandonato strada facendo) ma erano segnali illusori. Gli esperti lo reputano uno scrittore talentuoso. Mah!...
Eliminasinceramente uno che dichiara che " I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante (chiunque essa sia) sia stato il più amato tra i libri letti di recente" non l'avrei mica tanto preso sul serio :)
RispondiEliminaPure tu hai ragione! E pure un po' ruffiano visto che l'intervista era per un giornale italiano. Vabbè, ho preso una cantonata. I rischi del lettore.
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