giovedì 2 agosto 2012

Della fatica di leggere e dell’arte del tradurre


Sono affetta da shopping libresco compulsivo. Minore è il tempo libero di cui dispongo, maggiore il numero di libri che acquisto. Periodicamente mi impongo regole ferree da rispettare, tipo una soglia massima mensile da spendere, superata la quale è assolutamente vietato mettere piede in libreria o cliccare sui vari siti internet da cui mi approvvigiono più di frequente. Poi le regole si sbriciolano, viene fuori una qualche eccezione e mi ritrovo a guardare sconsolata la mia libreria. È desolante constatare che il numero di libri letti è di gran lunga superiore a quelli da leggere. Se smettessi di acquistare libri oggi stesso quanti mesi impiegherei per poter dire “Non ho più nulla da leggere”? Indefiniti.
La smania di assecondare l’urgenza del momento mi ha portato ad acquistare diversi titoli in lingua inglese, salvo poi rimandarne in continuazione la lettura.
L’edizione della RandomHouse di Olive Kitteridge mi guardava ammiccante da un paio di anni. Ogni tanto ne sfogliavo le pagine per poi rimettere il volume al suo posto. Un mese fa, ho preso il volume, ho guardato la libreria e ho deciso che:
a)     Stavolta lo faccio davvero: non posso continuare ad acquistare libri in modo sì sconsiderato;
b)    È giunto il grande momento di Olive Kitteridge.

Sul primo punto non posso garantire. Il secondo è stato rispettato.
Leggevo in inglese, avevo colleghi stranieri, condividevo un pezzo di vita con persone di altri paesi. Sì, diversi anni fa. Fai una fatica immane per familiarizzare con una lingua straniera poi basta pochissimo per dimenticare ogni cosa. Eppure nel tuo intimo nutri l’irrazionale speranza che, superato lo scoglio delle prime dieci pagine, te la caverai con disinvoltura, quasi fosse la tua lingua. Pie illusioni.
Nell’arco di un mese si sono succeduti questi pensieri (in ordine sparso, alcuni ripetuti più volte):
1)    Nooo. È il momento sbagliato! Ma come posso pretendere di leggere un libro del genere in pausa pranzo? Impossibile.
2)    Noo. Sono troppo stanca per intrufolarmi in una lingua diversa dall’italiano. Lo leggerò in un altro momento.
3)   Belli però questi frammenti di vita raccontati in modo così insolito. Magari prendo in prestito il libro edito da Fazi e me lo leggo in italiano.
4)  Chissà come l’avranno tradotta quest’espressione qui? Cioè, non so se esista una parola in italiano che renda tanto bene l’espressione americana (inglese? No, penso sia proprio americana). Beh, certo che leggere in lingua originale è tutta un’altra cosa.
5)  E che significa? Ma sì, è un phrasal verb e sono certa che ne conoscevo il significato ma non riesco a ritrovarlo. Frustrazione.
6)    È una bella fatica. Ma ormai sono a metà libro…
7) Sì, hanno fatto bene a scrivere tutte quelle recensioni positive. Magari un giorno lo leggerò anche in italiano, sarà un confronto interessante.

È vero: del libro non vi ho raccontato nulla, ma qui potrete leggere decine di recensioni. Per l’ennesima volta ho riflettuto sul ruolo dei mai abbastanza lodati traduttori e dell’arte del tradurre. Con la lingua inglese e con il portoghese è solo pigrizia: in effetti, potrei leggere l’opera originale. Finirei con il leggere a malapena dieci libri l’anno, ma potrei farcela. Per tutte le altre lingue sarebbe quasi impossibile.
Tradurre è un’arte più che un mestiere. La traduzione può addirittura migliorare l’opera prima. O la può distruggere. Eppure noi lettori ce ne dimentichiamo spesso. E, in alcuni casi, se ne dimenticano anche le case editrici a giudicare da qualche libro che mi è capitato tra le mani.
Mi riprometto per il futuro di faticare nuovamente con i testi in lingua originale ma, comunque, sempre sia lodato il bravo traduttore!

8 commenti:

  1. All'università, non so per quale motivo, in modo del tutto casuale, mi sono ritrovata ad abitare con decine (nel corso degli anni ovviamente) studentesse della Scuola per Interpreti e Traduttori. Io che facevo Giurisprudenza c'azzeccavo meno che niente con le loro discussioni, ma mi si è aperto un mondo: sul modo di tradurre, sugli esercizi, sulla prontezza di riflessi nelle interpretazioni simultanee, i simboli che usano per abbreviare nelle interpretazioni consecutive, e poi ho imparato anche un sacco di cose. Purtroppo, anche l'imparare è avvenuto casualmente, durante conversazioni sul più e sul meno, non c'è mai stata da parte mia una vera volontà di approfittare della loro presenza. Adesso mi mangerei le mani, perché quello era proprio il tempo giusto per farlo. Pazienza. Condivido la tua laude finale. Sempre sia lodato il traduttore!!

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    1. Cara Noce,
      se penso alle “occasioni perse” nel periodo universitario, altro che mani: dovrei mangiarmi almeno gli arti superiori! Pazienza. I traduttori non vengono trattati troppo bene nel nostro paese (ho lavorato per un periodo in una società di sottotitoli per il cinema e la televisione e le povere traduttrici – bravissime – prendevano due soldi. Ma proprio due.) ed è un peccato sottovalutare una risorsa così importante. Noi, intanto, continuiamo a lodarli!

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  2. Ma guarda, guarda cosa scopro! Che potresti leggere in portoghese! Non l'ho realizzato prima perché non l'hai mai detto oppure perché sono io che - rimbecillita - l'ho letto in uno dei tuoi post e non me lo ricordavo? Puoi anche rispondere: la seconda che hai detto. Non mi offendo. Sono straca, come tu sai.

    Anyway! Se mi mandi il tuo indirizzo (su mail) vedo di provvedere con una cosa, così, tanto per ricordarti della tua Nela San e occupare un po' di spazio nella tua libreria, anzi, come la chiamano gli inglesi? Nel tuo TBR pile...
    Bye&beijinhos.

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    1. Ciao gemellina! Sei straca ma non rimbecillita. Credo di averne parlato solo nei primissimi post, di ritorno da un bel viaggio in Portogallo. Ho seguito un breve corso di portoghese in Danimarca (sì, lo so; può non sembrare coerente) prima di partire per il Mozambico. Diciamo che parlavo una cosa strana, un portoghese primitivo mescolato con qualche espressione bantu e un po’ di swahili. Però (è giunto il momento di pavoneggiarmi), quando feci il mio viaggio a Lisbona, quattro anni fa, il tassista che mi riaccompagnava all’aeroporto mi chiese da quale zona del Portogallo provenissi. Temo che lo disse solo per compiacermi, ma per i successivi quindici giorni non ho fatto altro che ripetere ‘sta cosa a tutti i miei conoscenti! Ah, che lingua magica! Qualche anno fa, ho cercato una scuola di lingua portoghese a Roma: ci credi che ho trovato solo corsi di brasiliano? Bah…

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  3. Non posso non sentirmi chiamata in causa, benché io, di narrativa, non ne abbia mai tradotta per lavoro; per passione e consumo personale, per così dire, sì, parecchia! In realtà mi rendo conto che le mie letture sono un 50 e 50 di testi in inglese e testi in italiano. E' vero, all'inizio si fa una fatica improba: o ci si ferma a cercare tutte le parole ignote sul dizionario - e si perde, fatalmente, parte della magia del racconto, che viene dissezionato e interrotto continuamente - oppure ci si rassegna a capire non proprio tutto, ma l'essenziale (ma per i libri di narrativa è un po' uno spreco; per la saggistica, invece, va benone).
    Io, all'inizio, ho fatto entrambe le cose. E ancora oggi, quando mi capita - per fortuna assai di rado - di imbattermi in qualche termine che non conosco, se ho il dizionario sotto mano non resisto alla tentazione di aprirlo subito; altrimenti, a memoria o con un pennarello finissimo, tengo traccia e appena posso comincio le mie indagini.
    Un abbraccio affettuoso e tieni duro, continua a leggere in inglese e in portoghese. Practice makes perfect, the saying goes :-)

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    1. Carissima! Non nego che ti ho pensato parecchio pagina dopo pagina. Nella mia strategia di lettura ho optato per il cercare nell’immediato sole le parole essenziali, quelle che ignoravo del tutto e che non mi permettevano di comprendere a pieno la frase. Il primo capitolo è stato micidiale: ho fatto così tanta fatica che, giunta alla fine, m’è toccato di ricominciare da capo. In questo modo però, ho ripreso confidenza con la strutta della frase e ho avuto meno difficoltà nei capitoli successivi. C’è anche da dire che Olive Kitteridge è un bel romanzo quindi si ha lo stimolo ad andare avanti. Se mi fossi imbattuta in un’opera un po’ deludente, forse avrei interrotto la lettura e pace. Non aspiro alla perfezione, però mi spiacerebbe perdere completamente contatto con l’inglese. Quindi, seguirò il tuo consiglio e cercherò di perseverare.
      Baciotti.

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  4. :) :) :) difendiamoli i traduttori, sì!
    Che spesso e volentieri la gente non pensa di doverli pagare!!

    Comunque quando si può la lingua originale ci fa apprezzare il gusto più vero di ciò che leggiamo!!
    ;)

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    1. Hai ragione Clode! Invidio molto le persone che conoscono 4/5 lingue. Significa aver accesso a diverse culture, visitare paesi lontani e poter realmente esplorare usi e costumi di un popolo. Ah!, se potessi tornar indietro…
      E però lo so che avete vita dura, accidenti!

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