giovedì 5 novembre 2009

Avrei preferenza di no

[…] lo chiamai, spiegando in fretta cosa desiderassi da lui, ovvero, che esaminasse con me un breve documento. Immaginate la mia sorpresa, meglio, la mia costernazione, quando, senza muoversi dal suo privato, Bartleby con voce singolarmente mite, ma ferma, replicò: “Avrei preferenza di no.”
Rimasi per qualche istante seduto in perfetto silenzio, cercando di riavermi dallo sbigottimento che m’aveva preso. […]

Herman Melville, Bartleby lo scrivano, trad. di G. Celati

Ecco piacerebbe anche a me, giusto per un giorno, un giorno solo, seguire l’esempio dello scrivano di Melville. Fosse altro per osservare la reazione di chi si trova di fronte ad un «Avrei preferenza di no».
«Biglietto, prego». Con lo stesso volto composto e gli occhi miti di Bartleby, guarderei il controllore e: « Avrei preferenza di no», risponderei. Forse il controllore farebbe finta di niente e penserebbe ad una nuova forma di protesta contro ritardi e sporcizia dei treni. O forse mi guarderebbe turbato.
«Può terminare questa pratica, per favore?», ovvio che se è il capoufficio a formulare la domanda, la risposta è una pura formalità. Invece, a sorpresa: «Avrei preferenza di no». A stento riesco ad immaginare l’espressione impietrita dal datore di lavoro. E quanto sarebbe piacevole pronunciare tanti «Avrei preferenza di no» di fronte a quelle che sono le incombenze quotidiane, quelle piccole cose che siamo così abituati a sbrigare da non renderci neppure più conto di quanti doveri soffocano le nostre giornate.

In verità, il comico atteggiamento di Bartleby ci strappa un sorriso amaro perché dietro i suoi gesti lenti, la sua imperturbabilità, i suoi silenzi si nasconde il suo rifiuto per il mondo, per le inutili pressioni a cui si è sottoposti continuamente. Il silenzio di Bartleby rappresenta il diniego verso l’impegno, la necessità di correre, fare fare, quando invece si ha bisogno di così poco spazio e così poche cose per poter vivere. Un rifituo che può spingere a commettere gesti estremi.
O forse Melville aveva in mente tutt’altro mentre scriveva quello che tra i suoi racconti è certamente il più celebre nonché quello che, ancora oggi, ci fa tanto riflettere.

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