mercoledì 27 agosto 2008

La morte in banca

«Buongiorno, mi dica», fa l’impiegato con aria stanca. Non so perché ma mi torna in mente Carabba, il protagonista di un delizioso racconto di Pontiggia, “La morte in banca”.
(“Dopo tre settimane Carabba ha imparato a distinguere, nella piccola folla che sale ad ogni fermata del tram, gli impiegati di banca. E non solo della sua, ma anche di altre, sono sempre le stesse facce”).
Torno in me. «Buongiorno! Voglio chiudere il mio conto corrente», dico con un sorriso.
«Ah!, allora deve rivolgersi al collega lì dietro» risponde, visibilmente sollevato, indicando una sorta di separè e l’ombra del collega.
L’ombra ha gli occhiali, una maglietta blu, un viso cordiale e una targa sulla scrivania che recita Massimo Vattelappesca, family qualcosa. «Buongiorno, mi dica». 
Ci risiamo. «Buongiorno. Voglio estinguere il mio conto corrente». Estinguere sa di definitivo. “Chiudere” invece lascia uno spiraglio, la possibilità di un ripensamento.  
«Signorina, cosa mi dice mai? Le sembrano affermazioni da fare queste in una splendida mattinata di fine agosto?», sussulta tra lo scandalizzato e l’affranto. Poiché è la seconda volta a distanza di tre mesi che varco la soglia dell’agenzia con lo scopo di dare l’estrema unzione al famigerato conto corrente, e poiché sono contraria all’accanimento terapeutico, respiro, tiro fuori un’espressione risoluta e:«Guardi, questo siparietto l’abbiamo già recitato qualche settimana fa. Lei è simpatico, giuro! Non ce l’ho con lei anche se lavora per un istituto di credito che applica tassi usurai. Non se ne dispiaccia. Le prometto che di tanto in tanto le invierò una mail e passerò a salutarla. Ma ora chiuda questo maledetto conto corrente»
Il cordiale Massimo Vattelappesca inspiegabilmente smette di esser cordiale. «Guarda che te ne pentirai. Tornerai qui tra qualche mese dicendomi “Avevi ragione, avevi ragione! Le vostre condizioni sono le migliori presenti sul mercato. Che errore madornale ho commesso”»
Curioso. Se sono una correntista merito il “lei” e un sorriso affabile. Se sono un Giuda mi tocca il “tu” e un tono minaccioso.
«Allora tornerò mortificata, chiederò umilmente perdono per aver tanto peccato e confiderò nella vostra misericordia, certa di trovarvi pronti ad accogliere la pecorella smarrita che ha ritrovato la retta via».
«Spiritosa», bisbiglia  a denti stretti, «ti consiglio di fare un versamento o un bonifico per far fronte alle spese di chiusura…»
ALT! «E il famoso decreto Bersani?»
«Che c’entra?! Intendevo le normali spese di gestione», ignorante!, vorrebbe aggiungere, ma si trattiene. «Non ho mica fatto riferimento alla penale per l’estinzione. E comunque il conto corrente non lo posso chiudere finché non riceviamo la raccomandata in cui metti per iscritto il tutto». Trasalgo. Devo essermi distratta un attimo. «No, scusa. Vediamo se ho capito bene. Io, titolare di un conto corrente, vengo fisicamente in agenzia. Ti supplico di uccidere il mio conto corrente già in fin di vita; restituisco carta di credito e bancomat che vengono tagliate davanti ai miei occhi. Ribadisco che sono convinta di ciò che sto facendo ma tu, pronto a venirmi incontro nel momento del bisogno, non puoi aiutarmi perché devo uscire da qui, fare i 200 metri che mi separano dall’ufficio postale e inviarti una raccomandata ripetendo tutto ciò che ti ho detto nel corso dell’ultima mezz’ora?»
«Esatto». Già, com’è che non ci son arrivata da sola?
«Ma a maggio, tre mesi fa, mi avevi detto (sì, era sempre lui, lo ricordo perfettamente) che dovevo venire di persona e firmare un paio di moduli e che non c’era altra possibilità di estinguere il conto senza recarmi materialmente in agenzia».
«Naturalmente. Ma era prima della migrazione».
Ovvio. Fusioni, migrazioni… C’è un non so che di poetico nel meraviglioso mondo degli istituti di credito italiani. Mi alzo. Sorrido. «Allora vado all’ufficio postale. Grazie mille e buona giornat…» Il family qualcosa mi ha già voltato le spalle.
È l’arte di semplificare la nostra vita a rendere questo paese così affascinante.   

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