Nuova tradizione vuole che il primo libro dell’anno mi venga
regalato dal coniuge. La cosa presenta almeno due vantaggi:
- il libro regalato non rientra nella sempre troppo corposa pila di tomi che acquisto annualmente e che giace in casa in attesa di venir letta (che ci posso fare se la casa si riempie di libri? Me li regalano…);
- il coniuge, senza pescare tra i libri che fortissimamente vorrei, riesce a scegliere testi che catturano la mia attenzione e che non possiedo.
Questa volta, il primo libro dell’anno è stato acquistato a
Merano, nella bella libreria Alte Mühle (prendetela in considerazione se siete
da quelle parti, non parlate tedesco e volete assolutamente qualcosa tradotta in
italiano) e la scelta è caduta su Giustizia dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt (edito da Adelphi nella traduzione di Giovanna Agabio).
Di Dürrenmatt avevo letto una decina di anni fa La promessa.
Un requiem per il romanzo giallo e La panne, due romanzi brevi di
cui ricordavo l’asciuttezza e l’inquietudine. Giustizia, la cui stesura
venne conclusa nel 1985, ha una struttura più complessa rispetto alle prime
opere, ma lascia altrettanto spazio alle speculazioni filosofiche. Conosciamo
il colpevole sin dalla prima pagina (il dottor honoris causa Isaak Kohler, ex
consigliere cantonale), sappiamo da subito che l’ha fatta franca, si conosce il
delitto (la morte del professor Winter, ucciso in pubblico, in una grande sala
da pranzo, alle sette di sera, con i tavoli già tutti occupati). Non si trova
l’arma, non vi sono testimoni affidabili e manca il movente.
Il comandante era disperato. Voleva veder chiaro in ogni cosa.
Era un uomo concreto. Per lui un omicidio era un incidente, sul quale non
esprimeva alcun giudizio morale. Ma in quanto uomo d’ordine doveva trovare un
motivo. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale
bensì contro la logica. E questo era inconcepibile.
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Lo squattrinato avvocato Spät, cresciuto felicemente in un
orfanotrofio, fanatico della giustizia, convinto sostenitore della colpevolezza
del dottor honoris causa Isaak Kohler, si ritrova ad accettare l’incarico,
commissionato dallo stesso Kohler, di riesaminare l’omicidio partendo dal
presupposto che il colpevole non sia Kohler.
Vede, caro Spät, certo che ora conosciamo la realtà, per questo
sono qui e intreccio cesti, ma ciò che è possibile lo conosciamo appena. È comprensibile.
L’ambito del possibile è quasi infinito, quello del reale è molto limitato,
perché di tutte le possibilità è sempre una soltanto quella che si può
trasformare in realtà. Il reale è solo un caso particolare del possibile e per
questo è anche pensabile in altro modo. Ne consegue che per poterci addentrare
nel possibile, dobbiamo ripensare il reale.
L’ironia pungente di Friedrich Dürrenmatt ci conduce nella
tortuosa psicologia umana e ciò che vediamo non è mai tranquillizzante. Bene e
male si confondono, la fantasia modifica la memoria, un’intuizione non viene
mai confermata da un fatto e la giustizia si rivela impotente di fronte a una
realtà mutevole. La società descritta da Dürrenmatt è più feroce di quanto la perenne
neutralità svizzera voglia far credere.
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L'Ultime assemblée générale |
L’eclettico Friedrich Dürrenmatt fu anche drammaturgo e pittore.
«Non sono un pittore. Tecnicamente dipingo come un bambino, ma non penso come
un bambino. Dipingo per la stessa ragione per cui scrivo: perché penso».