Nella
calda estate del 2012, Line, francese di origine vietnamita, appena atterrata a
New York per un breve soggiorno, cerca rifugio dai rumori della città girovagando
nelle stanze deserte del MoMA.
Line,
semplificazione e storpiatura del vietnamita Ngoc Linh, luce di Giada (luce
della mente), registra suoni per un’agenzia di produzione fonica, attività che
le permette di spostarsi di continuo. Non che la sua vita sia particolarmente
avventurosa, ma muoversi è diventato
per lei naturale, così come rifugiarsi nei musei per concentrarsi su qualcosa
di diverso dal frastuono del mondo. Ad affascinarla, in fondo, non sono il
suono delle campane o il brusio delle conversazioni, quanto le diverse
sfumature del silenzio. Il silenzio
carico di una biblioteca non ha nulla a che vedere con il silenzio immobile di
un appartamento deserto; il silenzio quasi doloroso di sua madre, mentre lavora
alla redazione di un articolo scientifico, è diverso dal prolungato silenzio di
suo padre che ha fatto del tacere uno stile di vita. È suo padre ad avergli
trasmesso l’amore per l’arte e la pittura, ed è il suo silenzio ad
accompagnarla virtualmente nel vagabondaggio nei musei. Un uomo taciturno,
incline a manifestare i sentimenti con i gesti e non con le parole; affascinato
dalla bellezza e dagli ingranaggi del mondo, ha iniziato a spostarsi sin da
ragazzino per sfuggire alla fame, alla guerra, alla morte e poi, suo malgrado, ha
continuato a muoversi.
“Quasi
nostro malgrado, cominciavamo a stabilirci dove avevamo solo pensato di
transitare. Cominciavamo a costruirci un’esistenza, e anche a prolungarla”.
In
fuga dai disordini del Vietnam, viaggiare, per il padre di Line, è diventato
naturale come magiare, dormire, respirare. Un bisogno impellente anche se non
patologico, come quello di Albert Dadas,
affetto da dromomania o “follia del
fuggiasco”. Malattia curiosa, diffusa nella Francia del XIX secolo, che spinge
le persone a partire di punto in bianco; lasciare tutto e mettersi in viaggio,
abbandonando la propria memoria e la propria identità, fino a raggiungere, con
qualsiasi mezzo possibile, la meta da cui si è stati conquistati. Trovare pace
per qualche giorno e poi ripartire di nuovo, invaghiti da un'altra destinazione.
Lo strano caso di Albert Dadas, viaggiatore suo malgrado, venne studiato dallo
psichiatra Philippe Tissié e divenne oggetto del pamphlet dal poetico titolo I viaggiatori folli. Una disamina scientifica che rese celebre il primo episodio
noto di dromomania, consegnandolo alla storia e ispirando (curiose)
installazioni di arte contemporanea, come quella in cui si imbatte Line al MoMA
di New York nel 2012.
Viaggiatore suo
malgrado, Albert Dadas, come la giovane atleta somala Samia Yusuf Omar che, in quell’estate, non potrà
partecipare alle Olimpiadi di Londra perché annegata nel Mediterraneo, insieme
ad altri disperati, senza nome e senza corpo, nel vano tentativo di raggiungere
l’Occidente.
Samia
indossava le scarpe da ginnastica per dimenticare la morte, il terrore, i
dispersi. Un paio di scarpette e via, veloce, concentrarsi sul respiro, essere
finalmente libera; intorno a lei c’era la guerra, ma la testa era altrove. Ultima
nei 200 metri alle Olimpiadi di Pechino del 2008, si era sentita importante,
nonostante i suoi diciassette anni e la semplicità di una T-shirt troppo più
ampia di lei. Di Samia, nell’estate del 2012, resterà solo il ricordo del
connazionale, campione olimpico, Abdi-Bile.
Le
parole di Abdi-Bile entrano nell’appartamento newyorkese in cui Line sta
leggendo la storia dei viaggiatori folli. Le fughe di Albert Dadas si sovrappongono
alla corsa di Samia che si sovrappone agli spostamenti del padre di Line, al
viaggio di sua cugina verso il Canada, all’aereo non preso da suo cugino e a
tutte le storie dei viaggiatori loro malgrado che si perderanno nei ricordi.
Minh Tran Huy, nata e cresciuta in
Francia da genitori vietnamiti, incrocia vicende personali con storie meno note,
costruendo una narrazione di andate e
ritorni, silenzio e movimento, della perenna ricerca di chi, sradicato dalle proprie origini per i motivi più
disparati, vaga cercando il posto
giusto nel mondo, un luogo in cui potersi sentire a casa.
Min Tranh Huy, Viaggiatore suo malgrado (Voyageur malgré lui), traduzione di Giusi Valent, ObarraO edizioni.
La fascinazione per il silenzio, la poesia del silenzio di musei e biblioteche è argomento suggestivo, eppure colgo che questo libro abbia tanto di più, come quella follia del fuggiasco che può essere declinata in molti modi, con esiti positivi o drammaticamente negativi. Un altro buon consiglio per un libro da leggere. Grazie, Baba!
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