Romanzo poetico sin dal titolo, che rievoca i primi versi della
poesia di Alfonso Gatto, A mio padre.
Lo prendi tra le mani, aspettandoti un rapporto controverso tra un padre e una figlia, e subito vieni spiazzato dalla dedica A mia madre, che per sempre cercherò negli occhi di tutte le donne del
mondo.
Inizialmente la lettura scorre lenta, come le acque di un
innocuo ruscello, stretto, poco profondo, buono
per il panorama, le poesie e nient’altro. Per l’ennesima volta ti chiedi se
non sia arrivato il momento di smetterla con questi gruppi di lettura che
s’infervorano per un titolo, e tu ti ritrovi a leggere un libro, che forse non
avresti mai acquistato, anziché andartene a correre. Una così bella serata…
Giosuè Pindari scrive lettere a Lulù, figlia ingrata, sparita da un giorno all’altro senza dare
notizie. Sono lettere malinconiche che raccontano di una casa senza sorrisi, di
ideali infranti, delle passioni che furono di Turati, Kuliscioff e Pertini.
Curiosa tanta passione per un uomo come Giosuè, estremamente concreto, legato
alla solidità della terra e al risparmio; risparmio in tutto, anche nelle
parole e negli abbracci mai dati.
Giosuè scrive e sembra parlare di un tempo
lontano, un’epoca in cui le bambine hanno le regole una volta al mese e le
tamponano con un fagotto di carta igienica; i genitori vietano le bevande del
diavolo, diffuse dalle multinazionali e impongono spremute d’arancia; anni in
cui una madre può ancora insegnare a rifugiarsi nella scrittura invisibile:
basta intingere un pennello nel succo di limone e le parole ricompariranno solo
avvicinando il foglio alla luce di una candela accesa.
Giosuè scrive e affida le sue lettere al fiume, certo del fatto
che, ovunque sia, la figlia non potrà che riceverle prima di Natale. Giosuè
scrive e nel perdere tempo scopre che a render viva la vita forse non sono le
cose utili, la pianificazione, la disciplina. Osserva il passato e pensa che
bel dono sarebbe quello di poter cancellare i ricordi e piantarne di nuovi.
Giosuè racconta e tu ti immergi in un'epoca lontana. Potrebbe essere
l’Italia del dopoguerra, invece è l’altro ieri; Lulù nasce nell’anno in cui qualche
viaggiatore avrebbe iniziato a portar a casa, a mo’ di souvenir, pezzi del muro
di Berlino. Non ti stupisce il fatto che Lulù sia andata via, ti stupisce che
sia potuta rimanere per così tanto tempo in una casa in cui non le è stato
permesso di essere bambina.
Non credi che nell’era in cui le persone non parlano più tra
loro ma lasciano tracce on line di continuo, ci si possa ritrovare non su facebook bensì con un messaggio in una
bottiglia. Avverti qualche nota stonata, eppure non puoi fare a meno di seguire
fino alla fine, tra un corso d’acqua e l’altro, quella bambina che da grande
avrebbe voluto aprire un’officina in cui poter aggiustare i pensieri rotti.
Carmen Pellegrino, Se mi tornassi questa sera accanto, Giunti Editore, 2017.
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