Se sei allergica alla folla, al vociare, ai volantini che ti
perseguitano pure in bagno, alle file interminabili per un caffè, al costo
esagerato per una bottiglietta d’acqua, all’effetto IKEA in una piovosa
domenica pomeriggio… il Salone del Libro di Torino non fa per te. Quindi, vi
starete chiedendo, perché continui a tornarci ogni anno?
Perché, lagne a parte, porto sempre a casa qualcosa di bello.
Momenti belli:
ü) La cenetta in zona San Salvario, a due passi dalla Libreria Trebisonda, con gli amici romani del gruppo di lettura del Klamm. Mi confronto con
Simona sullo stile di Jan Brokken, che a me è piaciuto tantissimo e a lei un
po’ meno. Intanto Irene parla di editori che non pagano e di piccoli editori
dal grande potenziale e Laura non la smette più di elencare progetti volti alla
promozione della lettura. Il babbo di Fabio cena in silenzio, ma ci osserva
attentamente. Quante volte avrà voluto zittirci tra una forchettata di pasta e
un goccio di vino rosso.
ü) Incontrare gli scratch readers senza l’incubo di skype che cade,
abbandonandoci nel bel mezzo di una discussione sull’orizzontalità del racconto
rispetto alla verticalità del romanzo (concetto che mi è rimasto oscuro).
ü) Camminare per le vie di Torino con un’amica che non vedevo da
anni. Leccare un gelato e parlare fino a notte fonda.
ü ) Correre sul Lungo Po mentre Torino sonnecchia ancora.
ü) Visitare il Museo Egizio. Il fascino irresistibile delle mummie
dopo gli schiamazzi delle scolaresche nel Bookstock Village.
ü) Paco Ignazio Taibo II alle 9.00 di mattina che trascina due
enormi valigie nella stazione di Torino Porta Nuova. “Buongiorno! Che onore
poterla ascoltare ieri pomeriggio. È stato meraviglioso”. Lui che si mette la
mano sul cuore e ringrazia, dicendo di esser incantato da tanto calore. Io
che salgo sul treno con gli occhi a cuoricino.
ü) L’entusiasmo di Giulia Zavagna mentre traduce le parole del
boliviano Rodrigo Hasbùn. Uno che dichiara di aver scritto seguendo la logica
del silenzio per lasciar più spazio all’immaginazione del lettore non puoi non
comprarlo e leggerlo.
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Fabio Geda presenta "I jeans di Bruce Springsteen" di Silvia Pareschi |
ü) L’incontro con Silvia Pareschi. Lei che mi presenta suo marito mentre
io mi chiedo: “Ma sto davvero chiacchierando con la traduttrice di Franzen?”.
ü) Fabio Geda che, presentando I jeans di Bruce Springsteen di Silvia Pareschi, racconta di quando copiava intere pagine di Fenoglio, per la
gioia di riscrivere brani altrui che ci hanno emozionato (io sorrido felice: non
sono l’unica pazza).
ü) Scoprire piccole realtà editoriali come Edicola, una casa
editrice abruzzese che pubblica tra l’Italia e il Cile; oppure Cliquot edizioni,
che ripropone Riso nero di Sherwood
Anderson in una nuova traduzione.
ü) Trovare i tipi dell’Orma allo stand della Sur che pubblicizzano
(e vendono) libri provenienti dall’America Latina. Quei geni di Exòrma se le
inventano tutte pur di dimostrare la sinergia e la ricchezza (spirituale) che
caratterizza gli editori indipendenti. Questa volta, la mente perversa di
Silvia Bellucci, ufficio stampa di Exòrma, ha partorito Editori in scambio: un’iniziativa
straordinaria che a me è piaciuta tantissimo.
ü) Il viaggio di ritorno. Iniziare a chiacchierare con la signora
accanto che sta leggendo Il posto di Annie Ernaux. Si scoprono tante di quelle
affinità da diventare amiche strada facendo.
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L'appartamento della casa editrice NN al Salone di Torino |
Ora Torino sembra lontanissima: i libri, la gente, le occasioni
mancate, le osservazioni sul futuro dell’editoria e sull’Italia che non legge.
Ma lascio ad intellettuali e sociologi le disquisizioni sui grandi temi. Dopo
tanta confusione, mi ritiro nel silenzio delle mie stanze.
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Bottino torinese |