È venuta a mancare mia nonna. Aveva compiuto 88 anni a febbraio;
da qualche tempo diceva di essere stanca, non era più la leonessa di un tempo.
Mi sarei dovuta preparare alla perdita. Ma non si è mai pronti a lasciar andare
le persone a cui si è voluto bene, anche quando sembra siano loro a chiederlo.
Ho trascorso un paio di giorni in ospedale al suo fianco. Ogni
tanto sembrava appisolarsi ed io tiravo fuori il tomone della Neri Pozza. Ad un
tratto ha aperto gli occhi e l’ha guardato sospettosa. «Fammi vedere se è
scritto grosso». Gliel’ho avvicinato e lei ha fatto cenno di no. Un carattere
troppo piccolo per i suoi occhi, che fino a pochi anni fa vedevano
perfettamente.
«Di cosa parla?»
«Di una coppia irlandese che negli anni Trenta emigra negli
Stati Uniti, stabilendosi in un quartiere operaio di New York. La figlia,
Eileen, una tipa determinata, non troppo simpatica, studia, lavora, si impegna
per poter avere una vita di successo. Diventa infermiera, sposa Ed, un
brillante insegnante, attento studioso del cervello. Ma Ed a soli 51 anni si
ammala di Alzheimer e la loro vita cambia completamente…»
Forse non è la storia migliore da raccontare ad una persona in
fin di vita.
«Qual è l’Alzheimer?»
«La malattia di zia Anna.» Sua cognata.
S’incupisce. «Che brutta malattia! Ti ricordi quant’era bella e
gentile? Ora è ridiventata una bambina. Mio fratello non può lasciarla un
attimo da sola perché ha paura dei disastri che potrebbe combinare. Non si
ricorda più come si cucina; ti chiede una cosa e dopo due minuti se ne è già
dimenticata. Chiacchiera con tutti. Non la si può mandare neppure al
supermercato da sola. E mio fratello si vergogna tanto… Povero Romeo, di tante
malattie proprio questa gli doveva capitare…»
Una malattia incomprensibile per mia nonna che, fino a due
giorni prima di lasciare questo mondo, ricordava episodi da me rimossi. La
vergogna, la difficoltà nel parlarne. La necessità di condividere il peso con
altri, l’esigenza di essere aiutati che si scontra con il timore che l’altro possa sentirsi abbandonato.
Eviti di dire che ti sei rivolto ad una badante, chissà cosa penseranno gli altri. E poi c’è il disagio
degli altri: noi che non sappiamo mai come rivolgerci ad una settantenne che
tira fuori dalla borsa qualche cioccolatino, offrendoli a tutti i degenti della
camerata. E si offende di fronte al rifiuto altrui.
A mia nonna non ho potuto raccontare il finale di Non siamo più
noi stessi. Una storia concreta, senza toni melodrammatici. Sicuramente troppo
lunga. Qualche taglio avrebbe giovato alla fluidità del romanzo.
Il Guardian saluta
Mattew Thomas come il nuovo Franzen. Io non ho trovato alcuna analogia con Le correzioni (che mi piacque tantissimo). Onestamente, se non fosse stato per il
book club della Neri Pozza, non penso avrei acquistato il libro. E sicuramente
non l’avrei letto in questo periodo.
Un tomone che mi ha lasciato addosso
sensazioni contrastanti: non mi è dispiaciuto ma non mi ha neppure
appassionato. L’ho letto velocemente ma senza mai avvertire l’urgenza di
tornare alla lettura. Voci autorevoli hanno opinioni diverse dalla mia ma,
personalmente, per questo Thomas non prevedo il successo di Franzen.
Matthew Thomas, Non siamo più noi stessi, Traduzione Chiara
Brovelli
Neri Pozza editore, I narratori delle tavole
Mi spiace per la perdita di tua nonna. Sono quelle cose che lasciano un segno e per quelle strane coincidenze che a volte la vita ci propina ecco che il titolo del libro che stavi leggendo, "Non siamo più noi stessi", ci ricorda che quando subiamo questi lutti, qualcosa in noi cambia. Più o meno percettibilmente. Un abbraccio.
RispondiEliminaGrazie giallaNela.
EliminaResto sempre sorpresa dalle incredibili coincidenze che ti portano a leggere quel libro in quel momento. Prendi l’Alzheimer, ad esempio. Da quanto tempo non incontravo le due persone che conosco e che ne soffrono? Anni. Ritrovarsi mentre leggevo questo libro, ha dato un senso diverso alla lettura.
Grazie per la condivisione di questa importante esperienza.
RispondiEliminaMi dispiace molto per quello che è successo...
Ti mando un abbraccio.
Grazie a te. Condividere aiuta ad elaborare e a mettere in ordine le sensazioni e i ricordi da infilare in valigia.
EliminaUn abbraccio.
Oh, mi dispiace per la tua nonna.
RispondiEliminaQuanto a Franzen, se dovessero dargli un dollaro ogni volta che uno scrittore è stato definito "il nuovo Franzen", a quest'ora si sarebbe già comprato un altro appartamento a Manhattan :-)
Hai ragione. Ma poi, mi chiedo, perché un lettore di Franzen dovrebbe cercare “il nuovo Franzen” visto che l’originale è vivo, vegeto e continua a scrivere?! Bah… E poi, quanto incideranno commenti del genere sulla vendita del libro? Le logiche del mondo editoriale continuano a sfuggirmi.
EliminaSfuggono anche agli editori, non preoccuparti!
Eliminadi Franzen non ci ho trovato nulla, però a me ha proprio convinto e mi ha acchiappata pure e mi ha straziato il cuore alla fine, ci ho fatto un post ieri e sapendo che eri del club, sono venuta a vedere cosa ne avessi scritto, ora lo so. i miei genitori hanno praticamente l'età della tua nonna
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