mercoledì 16 dicembre 2009

Solo una monetina...

Io, questa insofferenza, questo senso di fastidio verso lo straniero, nei confronti di chi è diverso da noi, italiani, proprio non lo capisco. Questa diffidenza e questa paura di guardare negli occhi chi è arrivato nel nostro paese a seguito di chissà quali peripezie non riesco proprio a comprenderla. Non la comprendo ma…
Prendo la metro e alla fermata successiva sale un signore sulla cinquantina forse, ma forse anche meno, o più. Una di quelle facce senza tempo, che aveva le borse sotto gli occhi già alla nascita. Forse è afgano. Saluta tutti in un italiano strascicato e poi chiede di seguirlo, seguirlo attentamente. E inizia a fare un gioco di prestigio, ingoiando palline e risputando asticelle, mescolando le carte e tirando fuori colombe di stoffa. Il tutto descritto in inglese. Augura buon Natale e passa tra la gente con il suo bicchiere del McDonald’s per la raccolta di qualche spicciolo. La gente brontola.
Scendo dalla metro e aspetto per attraversare. Un automobilista prende a brutte parole una zingara che continua a stargli attaccata al finestrino nonostante sia scattato il verde e i clacson suonino dietro di lui. Ingrana la marcia con rabbia mentre la donna va all’attacco nella corsia opposta. Intanto, sull’uscio del supermercato, un bimbetto di tre/quattro anni con una vaschetta di Nutella tra le mani e il visetto tutto sporco chiede spiccioli ai clienti e lancia sguardi alla donna sulla strada. Sarà la mamma, la zia, la nonna. Qualcuno che, comunque, a fine giornata, gli strapperà dalle mani quel bicchiere del McDonald’s e forse non gli laverà neppure il viso.

Sbrigo le mie cose e un’oretta dopo riprendo la metro. Questa volta sale un violinista. Anche lui senza età, anche lui sudicio, anche lui con un italiano stentato e una musica tristemente stonata. Scendo e tra le vetrine addobbate che invitano allo shopping natalizio vengo fermata dai ragazzi senegalesi. Cercano di rifilarmi elefantini, fiabe africane e numeri di Terre di mezzo. E io lo so che sono ragazzi in gamba ma li evito a brutto modo, scagliandogli contro un «Non ho tempo», senza provare lì per lì alcun rimorso.
Prendo solo vie secondarie, porto a termine la missione della giornata e torno verso la stazione Termini. È un percorso a ostacoli tra ragazzi che distribuiscono volantini di tutti i generi, banchetti per una “firma contro la droga, sostieni la nostra comunità”, “signora, qualche monetina per favore” e un gruppo di dialogatori/fundraiser di fronte ai binari che chiedono il supporto per non so neppure quale disperata causa.
Sono tornata a casa esausta. Inferocita contro quella mamma che, in una gelida giornata di dicembre, teneva lì, davanti alle porte di un supermercato, un piccolo che ancora non sa cosa significhi “amore”. Arrabbiata verso tutte le associazioni del mondo che a Natale spuntano in tutti gli angoli della strada per ricordarti quanto tu sia fortunata e debba almeno fare una piccola donazione per meritare anche quest’anno la tua fetta di pandoro. Arrabbiata contro tutti i disgraziati della terra che in questo periodo ti guardano con occhi ancora più supplichevoli, facendoti pesare il tuo silenzio con un “buone feste e felice Natale”. Furibonda contro un mondo ingiusto, la povertà, i maltrattamenti, le guerre. Furiosa contro me stessa che parlo tanto di tolleranza, comprensione, atteggiamento diverso, solidarietà e poi non ce la faccio. Non ce la faccio a guardare il mendicante negli occhi, non ce la faccio a guardare tante mani tese, non ce la faccio a comprendere ciò che accade per la strada e finisco per fare come gli altri. Volgo lo sguardo altrove e tiro dritto. Poi, al sicuro delle mie quattro mura, mi vergogno per la mia vigliaccheria.
 

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