lunedì 27 aprile 2009

Quella vocina che legge dentro di te…

Da bambina leggevo quasi esclusivamente ad alta voce. Forse perché ero spesso da sola ed ascoltarmi rendeva più festosi i lunghi pomeriggi invernali. La mia bisnonna, di tanto in tanto, faceva capolino per controllare che non combinassi pasticci prima del ritorno dei miei. A volte restava sulla porta ad ascoltarmi; altre volte si sedeva accanto a me e mi chiedeva di ricominciare daccapo chè aveva perso la parte iniziale del racconto. Spesso si faceva ripetere quei termini strani, mai uditi prima perché «io ho fatto solo la prima classe e già è tanto che so mettere la firma. E poi, quelle parole là ai miei tempi non esistevano». Restava affascinata da suoni difficili da pronunciare e li ripeteva spesso, a mo’ di poesia. Era buffo ascoltare un aggettivo ricercato ed elegante in mezzo a frasi dialettali.
La mia bisnonna era nata nel 1903; rimpiangeva di non aver avuto “un’istruzione” e di non sapere come andava il mondo. Eppure, raccontava favole bellissime; era una donna brillante e furba, con tanta sete di conoscenza e mai avrebbe immaginato che ciò che mi narrava era la storia d’Italia, quella che la mia generazione avrebbe studiato (poco e male) nelle scuole dell’obbligo.
Penso che il piacere della lettura ad alta voce risalga ad allora. Con il passare degli anni, per ovvie ragioni, la lettura è diventata sempre più silenziosa ma è comparsa una nuova voce. Quando sono veramente immersa in un testo, mi capita di ascoltare una vocina, dal suono più soave, più profondo della mia, che legge dentro di me.
Qualcuno mi prenderà per matta. Qualcun altro, invece, saprà di cosa parlo. È un suono diverso, interiore, che svanisce non appena s’iniziano a muovere le labbra. È una sensazione che un po’ indispone. Non mi capacito del fatto di non poter far percepire quell’intensità a chi mi sta ascoltando.
Ieri, dopo aver letto un post relativo alla lettura ad alta voce (http://lalettrice.splinder.com/), ho aperto le pagine di “Uccidere un bambino”, uno struggente racconto di Stig Dagerman, incluso nella raccolta “Il viaggiatore”. Volevo che il mio compagno lo scoprisse attraverso la mia voce.
Credo che Dagerman non sia uno scrittore facile ma ha la capacità di racchiudere in poche righe le piccole tragedie della quotidianità. I colori vivaci dei suoi racconti si scontrano con quel senso di malinconia e sconfitta che li pervade. Forse proprio perché non avvezza a questo modo conciso ed amaro di descrivere la realtà, ne sono rimasta ammaliata. E leggendo il racconto avrei voluto sentire la mia voce emettere lo stesso suono che vibrava nella mia testa. Niente. Era intenso, ugualmente toccante, eppur diverso.
La magia della vocina che legge dentro di te non è riproducibile.
 
E' una giornata mite e il sole splende obliquamente sulla pianura. È domenica, tra poco suoneranno le campane. Fra i campi di segale due bambini hanno scoperto un sentiero che non avevano mai percorso e nei tre villaggi della piana luccicano i vetri delle finestre. Gli uomini si radono davanti a specchi appoggiati su tavoli da cucina, le donne canterallano affettando il pane per il caffé, e i bambini si abbottonano le camicette. È la mattina felice di un giorno infausto perchè in questo giorno nel terzo villaggio un bambino sarà ucciso da un uomo felice.
[…]
Perchè la vita è congegnata così spietatamente che un minuto prima di uccidere un bambino un uomo felice è ancora felice e un minuto prima di urlare dal terrore una donna può chiudere gli occhi e sognare il mare, e nell'ultimo minuto di vita di un bambino i suoi genitori possono stare seduti in cucina ad aspettare lo zucchero e a parlare dei suoi denti bianchi e di una gita in barca e il bambino stesso può chiudere un cancello e avviarsi attraverso una strada con delle zollette di zucchero avvolte in carta bianca nella mano destra, e per tutto quest'ultimo minuto non vedere altro che un lungo fiume scintillante con grandi pesci e una grande barca coi remi silenziosi.

Dopo è troppo tardi.
STIG DAGERMAN, Il viaggiatore,  (tit. orig. da Dikter, noveller, prosafragment) 1952 - Trad. dallo svedese di Gino Tozzetti e introduzione di Goffredo Fofi, IPERBOREA.

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