mercoledì 8 ottobre 2008

Diari

Roma, Villa Celimontana, primo Festival della letteratura di viaggio. “Il mestiere del reporter”, intervengono Ettore Mo, Paolo Rumiz, Stenio Solinas, Angela Staude Terzani.
Fresca serata di fine settembre, venerdì per giunta, giornata in cui, solitamente, la mente è affannata e insofferente, poco interessata a ricevere nuovi input. Non che di questo Festival della letteratura di viaggio se ne sia parlato granché ma, tanto che ci sono, un salto potrei pure farlo. In fondo è un’altra occasione per ascoltare Ettore Mo, i cui reportage hanno sempre il pregio di farmi volar via da questo Paese.
Non so bene cosa mi aspettassi, so però che quanto ascoltato ha avuto un benefico effetto sul mio cervello, svegliandolo dal torpore del venerdì. Stamani alcune di quelle frasi, pronunciate ormai diversi giorni fa, mi son passate davanti ed ho sentito il bisogno di appuntarle.
Si è parlato di viaggi, di diari, del perché dello scrivere, del ruolo del reporter: osservazioni tanto semplici quanto veritiere, solo che hai la sensazione che se queste riflessioni non le butti giù subito, nel momento stesso in cui vengon dette, le perderai per sempre.
Il Diario. Sì, ricordo il primo diario segreto che ricevetti in dono una manciata di anni fa. Già, c’era scritto proprio così, “Diario Segreto”. Avevo otto – nove anni e non capivo esattamente cosa potesse esserci di così segreto nella mia vita da dover esser racchiuso in quel quadernetto rosa, dalla copertina rigida, con tanto di lucchetto e chiavetta. E poi, dove diamine avrei potuto nascondere quella chiavetta? Alla fine, decisi di dare un nome a quel diario. In fondo, se doveva custodire i miei segreti e se doveva assumersi la responsabilità di essere un amico fidato, mica potevo rivolgermi a lui con un banale “caro diario”? Mi lambiccai il cervello per un po’: non era mica consono per una femminuccia raccontare i pensieri più intimi ad un maschietto. Nient’affatto! Fu così che il mio primo diario diventò Rose, l’amichetta del cuore.
Com’è che son finita a raccontare questa storia? Ah, già, seguendo i pensieri della Staude Terzani, moglie di Tiziano Terzani. Quando le è stato chiesto perché sia così importante annotare la propria vita in un diario, tra le varie motivazioni, ha candidamente osservato: “Per non dimenticare”.

“Quando vi chiederanno: «Com’era il Festival?», ve ne verrete fuori con un «Bello».
Sì, ma perché? Cosa c’era? «Gli alberi», risponderete voi prontamente. «E poi c’erano Ettore Mo e altri reporter che parlavano dei loro viaggi e delle loro esperienze». E questo è tutto.
Il resto sarà già volato via, perché la memoria è labile.
E poi il diario serve a riorganizzare le proprie idee per capirle. Ed anche un po’ per rielaborarle. Tanti libri sono nati da semplici diari, da appunti di viaggi. C’è chi sostiene di viaggiare per scrivere”.

Ho pensato a quale fosse la mia idea di diario, rimpiazzata oggi, a volte, dal blog. Ho sempre scritto per non dimenticare. Ma anche un po’ per romanzare la mia vita. Quando racconto, inevitabilmente aggiungo e tolgo elementi che avrei voluto accadessero o non accadessero. Così finisce che quando mi rileggo a distanza di anni, l’immaginazione è diventata parte della realtà: non so più cosa sia accaduto e cosa sia stata solo sognato. Ma ormai è stato scritto, è diventato parte inscindibile del vissuto.
Anch’io scrivo per capire. La realtà è troppo complessa da gestire. Le immagini si sovrappongono, i pensieri si affollano, le parole rimbombano e tu non sai più cosa stia accadendo intorno a te. Scrivere allora è come fare ordine su una scrivania su cui per giorni e giorni hai accumulato giornali appena sfogliati, articoli ritagliati e lasciati lì in attesa d’esser archiviati, bottigliette d’acqua vuote, tazze macchiate di tè. Le cose vanno selezionate e messe al loro posto. Solo allora si potrà riprendere a lavorare.
Così fa la scrittura. Sintetizza alcuni pensieri, ne amplifica altri, ti fa soffermare e approfondire alcuni temi e cestinarne altri. Torna l’ordine.
Solo allora si può ricominciare a guardare la realtà con occhi diversi.

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