lunedì 5 febbraio 2018

Leggenda privata, Michele Mari

Non so se Leggenda privata sia stata la via migliore da cui partire alla scoperta di Michele Mari.
“Ipocrita poi di necessità, professionista dell’eufemismo e delle maniera, ma sempre tentato dalla lustra ipogea; sicché non è chi nol vegga, l’Accademia della Cantina gode […]”
Michele Mari è uno che scrive così. Non usa il banale termine “dimezzato” bensì dimidiato, nonché altre espressioni come sitibondo, indarno, ambagi piranesiane, zaratustrici apoftegmi. Abituata ad una lingua sobria, contemporanea, talvolta sin troppo giornalistica, il primo impatto non può che essere scioccante. Ma che dice? Ma come parla? Ma cosa significa? Perché questo inutile sfoggio di finta cultura? Poi, però, entro nel meccanismo, inizio a capire il gioco e, pur non sapendo dire se mi piaccia o meno, non riesco ad interrompere la lettura.
Quando chiudo il libro e apro la posta elettronica, leggo con fastidio la mail sgrammaticata del cliente che utilizza le solite formule polverose. Non a caso, questa qui si chiama burocrazia.
Forse ha ragione Mari quando afferma che la letteratura deve avere una sua personalità e che ci sono cose che possono essere belle solo se arcaiche e sublimi. O forse esagera, ma lo dice con una tal convinzione da persuadermi.
Superato lo spauracchio linguistico, posso concentrarmi sulla storia. Altra impresa complicata.
Dovrebbe essere la sua autobiografia, scritta su intimazione della famigerata Accademia dei Ciechi, ma a pagina 7 brancolo già nel buio.
Mari inscena una situazione in cui i mostri veri della sua infanzia (il padre, il nonno, le cinghiate…) si scontrano con i demoni della letteratura. Poe contro Enzo Mari che, per carità!, non si osi chiamarlo con un affettuoso “babbo”, altrimenti risponderà con uno sprezzante “fanciullo”.
Tipo brusco Enzo Mari, re del design, padre anaffettivo, autoritario, ingombrante, sempre sull’orlo di sfuriate pazzesche. Non va meglio con la madre, Gabriela, con una sola L, poiché i nonni si erano augurati un bel maschio, da battezzare Gabriele. Tale fu la delusione da limitarsi a mutare solo la vocale finale (mia madre crebbe sapendo di essere nata sbagliata); poco importa, con il passare del tempo, tutti l’avrebbero chiamata Iela.
Prima d’esser madre, Iela fu agile gazzella da roccia, inerpicata sulle vette con Bonatti e Buzzati. Magra come un’acciuga ma “con una manina d’oro”, ad indicare la precisione e il talento innato per il disegno. Donna asciutta che rifiutava ogni frivolezza, sia nel vestire che nella cosmesi, come se ogni flagrante femminilità fosse un tradimento della propria intelligenza e del proprio talento.
In sintesi, un'infelicità costante, come documentano le foto che accompagnano la narrazione: una raccolta di volti perennemente imbronciati.

Con un’infanzia simile, non stupisce che Mari abbia trovato rifugio nella letteratura, né che si sia inventato uno stile che, piaccia o meno, lo contraddistingue dagli altri autori contemporanei.
Ma è poi un rifugio quello fornito dalla letteratura?
Fuggire dai piccoli orrori della vita, fuggire dalla famiglia, per essere ghermiti dai demoni non è un grande affare: o meglio lo è sotto l’aspetto estetico-romanzesco, ma per il resto, credetemi, cinghia per cinghia… urlo per urlo…

9 commenti:

  1. Due sono le volte in cui girai armata di vocabolario leggendo Angelo Maria Ripellino ed Hans Tuzzi, qui però mi descrivi un flotilegio lessicale, non è ostentazione?

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    1. Ostentazione o, come mi ha detto qualcuno, ma quanto se la tira!
      La stranezza sta nel fatto che, da lettore, non ho avuto la percezione di uno stile troppo costruito. L’idea è che Mari sia così anche tra le mura domestiche (pensiero inquietante). Indubbiamente è un autore che non lascia indifferenti.
      Comunque, mai mi sognerei di regalare un suo libro.

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    1. Avvezza a Mari, ero subito andata a cercare “flotilegio”…

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  4. Interessanti queste recensioni incrociate dei blog che seguo. Ammetto che, senza aver letto il libro, è un po'scorretto qualsiasi commento ma, l'impressione che ne traggo, è che sia una sorta di riscatto dell'autore nella letteratura e, vista la tua chiosa (mai mi sognerei di regalarlo), mi vien da riassumere in: "Così è (se vi pare)". Buon fine settimana, cara amica!

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    1. Riassumi bene. Il libro era stato "somministrato" in uno dei miei gruppi di lettura da un appassionato di Mari. C'incontreremo questa settimana per la discussione. E sono certa che sarà un incontro/scontro perchè la sensazione è che se si ama Mari, ci si batta molto per motivare certe scelte stilistiche. Se non lo si ama affatto, ci si batterà molto per disintegrarlo. Non mi aspetto una serata piatta. Tutt'altro...

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  5. Non sono per niente attratta dall'idea dei gruppi di lettura e dalle discussioni collettive con dibattito a fine libro, ma vedendo le tue scelte e le tue esperienze, le cose che sei "costretta" a leggere e le tue sortite dalla comfort zone, ne sono quasi quasi tentata... comunque spesso dicono anche a me che "me la tiro", perché amo leggere romanzi un pochino al di sopra della media come "impegno" (che poi può essere appunto anche solo il non comprare il mondadori del momento). e in ogni caso mi piace molto imparare parole nuove: ieri in un romanzo (neanche troppo "impegnato") ho trovato la parola "samizdat": sono ore che me la rigiro in bocca per non dimenticarmela

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    1. Grazie a te ho appreso una parola nuova (che forse viene da un romanzo acquistato anche da me. Parliamo per caso di Le assaggiatrici?).
      Capisco la tua posizione. Ero scettica anch'io. Poi, ho iniziato a partecipare ai gruppi di lettura, quasi per caso, qualche anno fa. Ora ne gestisco uno in biblioteca da diverso tempo (una delle esperienze migliori degli ultimi anni. E non sono una bibliotecaria, né lavoro in biblioteca), forse ne sto per far decollare un altro, ne frequento uno in libreria... Ho scoperto un mondo di persone in carne e ossa con cui parlare anche di libri. Ho ridotto drasticamente le mie frequentazioni virtuali e ho ricominciato a parlare con amici lettori davanti a un bicchiere di vino o nella saletta di una biblioteca. Sto imparando molto, anche se, scherzando, dico di non aver più una vita (di lettrice) privata.

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