venerdì 28 luglio 2017

Luce d’estate ed è subito notte, Jón Kalman Stefánsson

Un libro così bello che avrei voluto non terminasse più.
Una frase che ho sentito ripetere spesso; forse qualche volta l’avrò pronunciata distrattamente anch’io. Un’espressione come tante per dire che caspita!, proprio una bella storia, ma da non prendere troppo alla lettera. Finisco un libro e ne ho già una lunga lista dalla quale pescare; esco dalla Barcellona di Franco e dopo poche righe sono in una famiglia americana alle soglie del 2000. Inspiegabile ciò che mi è accaduto con Stefánsson.
Il coniuge rientra quando fuori è quasi buio e mi trova rintanata nell’angolo lettura con un libro chiuso tra le mani.
«Tutto bene? Che hai?».
«Ho finito Luce d’estate».
«Embè?», gira gli occhi al lato della libreria dedicata ai volumi intonsi. «Non mi sembra sia un problema irrisolvibile».
«Ma questo libro era bellissimo. E poi non mi piace com’è andato a finire…»
«Dai, hai letto decine di libri dicendo che erano bellissimi. E se fosse andato a finire diversamente ti saresti lamentata per il finale scontato. Di che parla questo libro?»
Ecco, e ora come faccio a spiegare al coniuge, la persona più concreta che abbia mai incontrato, di cosa parli Luce d’estate? «Di un paesetto senza una chiesa né un cimitero, immerso nella campagna islandese. Campagna dappertutto, tranne che a ovest, dove c’è il mare. Un posto con una luce pazzesca e dalla notte profonda, il cielo stellato e immenso. Appena quattrocento anime, per lo più anziane, che fanno piccole cose: lavorano in una cooperativa, aprono un ristorante, portano la posta, guardano il cielo, si innamorano, si rabbuiano, vivono e sognano».
«Scusa ma non mi sembra un gran romanzo».
«Non è un romanzo, è poesia».
«E da quand’è che leggi poesia?».
«Dalla settimana scorsa, quando ho incontrato Stefánsson. Comunque, non è un libro di poesie, è un romanzo scritto come fosse una lunga poesia».
«Triste».
«Macché, ci sono stati dei momenti in un cui ho riso come una scema. E poi voglio andare in Islanda».
«Adesso? Io avrei fame; che dici, pensi di poter cenare?».
Inizio a capire cosa significhi sentirsi incompresi.
Ceniamo vedendo un bel film. Prima di andare a dormire, il coniuge pianifica le attività lavorative dell’indomani. Guarda perplesso il mio comodino vuoto. «Non hai ancora scelto la prossima lettura?».
«Non questa sera. Forse domani».
«Allora la situazione è grave».

Per quale motivo viviamo; si può rispondere a domande del genere?
Forse no, abbiamo un compito a parte baciare labbra e così via? Ma a volte, e solo un attimo prima che il sonno ci prenda la sera, quando la giornata è trascorsa con tutta la sua inquietudine, quando siamo distesi a letto ad ascoltare il sangue che scorre e il buio entra dalle finestre, a volte ci sorge il profondo e fastidioso dubbio che il giorno appena passato non sia stato sfruttato a dovere, che ci sia qualcosa che avremmo dovuto fare, solo non sappiamo che cosa. […]
Parliamo, scriviamo, raccontiamo di piccole grandi cose per cercare di capire, di arrivare a qualcosa, di afferrare l’essenza che però si allontana sempre più come l’arcobaleno. Nelle storie antiche si dice che l’uomo non possa guardare Dio, equivarrebbe alla morte, e senza dubbio vale lo stesso per quello che cerchiamo – la ricerca stessa è lo scopo, il risultato ce ne priverebbe. E ovviamente è la ricerca che ci insegna le parole per descrivere lo splendore delle stelle, il silenzio dei pesci, il sorriso e lo sconforto, la fine del mondo e la luce dell’estate.   
 

Jón Kalman Stefánsson, Luce d’estate ed è subito notte (non so quanto possa aiutare il titolo originale, però ha un bel suono: Sumarljós, og svo kemur nóttin), traduzione di Silvia Cosimini, Iperborea, 2013.    


6 commenti:

  1. Ci sono libri che ci lasciano proprio così, con un inspiegabile garbuglio di emozioni, l'incanto della bellezza e un grande vuoto per averne raggiunto la fine. Stefansson è un autore che da tempo mi riprometto di leggere, già solo i titoli dei suoi libri mi attraggono moltissimo, e tu mi hai appena dato un altro motivo per farlo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mami cara, spero ti piacerà. A quanto pare, anche gli altri libri di Stefánsson meritano (così sostengono lettori con gusti affini ai miei). Mi sa che non mi fermerò alla luce d'estate...

      Elimina
  2. Il mio ...cammino ha un po' deviato dai blog, eppure, quando vengo qui, leggo sempre di cose belle e interessanti. Normalissimo non iniziare un libro dopo averne terminato uno bellissimo. Ovvio innamorarsi dell'Islanda e naturale trovare in piccoli paesi epopee poetiche (ne so qualcosa). Un abbraccio!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io, che ero e resto molto affezionata al tuo blog, ho perso il mio faro giallo. La scorsa settimana, invitata da una delle biblioteche della mia (nuova) zona per chiacchierare di libri, mi son trovata di fronte a persone che consigliavano gialli da leggere durante questa torrida estate. E nessun titolo mi sembrava degno di gialli-e-geografie. Capisco le tue deviazioni (come non capirle? C'è sempre più confusione in rete) però, ecco, dovresti fissare almeno un appuntamento bimestrale per noi poveri non giallisti che vorremmo di tanto in tanto un giallo un po' speciale.

      Elimina
    2. Lusingata per i complimenti e l'invito. Vedrò cosa poter fare. Un abbraccio.

      Elimina
  3. un libro pericoloso perché fa venire voglia di partire per un posto carissimo $_$

    RispondiElimina

Il tuo commento sarà visibile dopo l'approvazione.